Molto c'è ancora da dire su
questo voto, sullo tsunami grillino che ha travolto tutto,
dalla protervia della cosiddetta sinistra (che da ieri non esiste più
ufficialmente, anche per chi aveva ancora del prosciutto sugli occhi) alle
ambizioni di Ingroia e Ferrando, Fini e Di Pietro. Cocente sconfitta per la segreteria
del Partito democratico, indicato dai sondaggisti (categoria che dovrebbe fare
un'analisi approfondita del suo metodo di lavoro) come vincitore sicuro mesi
prima delle elezioni. Partito che in campagna elettorale - una volta di più -
ha lasciato alla destra e a Grillo gli argomenti più importanti: le tasse, la
riforma della politica, il conflitto di interessi, la fine degli sprechi e dei
privilegi della partitocrazia. Partito che non ha avuto il coraggio di cambiare
fino in fondo, che non ha capito che l'aria è cambiata da anni, e che alle
primarie ha preferito un uomo dell'apparato (che infatti parla quel linguaggio)
a uno, Matteo Renzi, che - piaccia o no - poteva arginare l'assalto dei
populisti, i quali infatti hanno avuto vita facile, e rispetto ai quali era
andato persino oltre parlando (l'unico a farlo) di fine del bicameralismo.
Tafazzi ha colpito ancora.
Ma questo voto è stato anche una
bella delusione per il centro di Mario Monti e Pierferdinando Casini, e per
tutte le aspettative che c'erano dietro a loro: partito come tecnico,
come figura super partes indicata dal Quirinale e incoraggiata da
Strasburgo e Bruxelles per salvare la patria (nazionale e continentale), ma
anche dalla Chiesa cattolica, per la quale palesemente era on a mission
from god, Monti non è riuscito a togliersi di dosso l'immagine di
tartassatore e ammazza famiglie per conto della Merkel. Inoltre, non gli è
bastato l'endorsement di Martin Schulz, presidente del Parlamento
europeo, che ha pregato gli italiani di non votare Berlusconi, e nemmeno quello
della Chiesa, che in suo favore si era espressa con chiarezza come non succedeva da decenni
salvo successive e diplomatiche dichiarazioni di equidistanza, e conseguenti
inviti agli cattolici a votare solo chi disposto ad assecondarne la dottrina.
Da rilevare, poi, che Monti con la sua lista ha tolto voti anche o soprattutto
all'Udc, piuttosto che al Pdl, in una sorta di cannibalismo interno alla
piccola coalizione di centro, dato indicativo che l'identità esplicitamente
cristiano-cattolica ha un potenziale elettorale piuttosto ristretto. Resiste
solo il fortino berlusconiano, forte di uno zoccolo duro e fideizzato di fan
del cavaliere, e di un sistema di clientelismo ben radicato; ma - visto anche
il vistoso calo di voti della Lega - questo è stato tenuto temerariamente a
galla quasi esclusivamente dalle promesse sull'Imu (sulle quali pende una
denuncia per voto di scambio), trovata del vecchio leader che si esprime al
meglio in campagna elettorale, non certo alla prova di governo.
Se Scelta civica non ha ottenuto
il risultato che si aspettava, dunque, anche Bagnasco e soci dovrebbero fare mea
culpa: hanno sbagliato tutto, e hanno perso. Ora si occupassero
esclusivamente delle beghe e dei problemi interni alla loro organizzazione,
perché per la prima volta anche queste sono evidenti e chiare, di fronte al
mondo intero.
«Il cambiamento del quadro
politico può essere letto anche sotto questa luce: al forte calo delle forze
clericali di centrodestra e al flop di quel centro sostenuto con tanta premura
dal Vaticano, si accompagna invece l'avanzata del centrosinistra e del
Movimento Cinque Stelle. Entrambi hanno presentato un programma laico, e i loro
numeri in parlamento compensano abbondantemente l'eventuale indisponibilità
dell'area del Pd assai sensibile alle istanze dei vertici cattolici. Per
l'Italia è un'occasione unica per dotarsi finalmente di quelle leggi che il
paese attende da anni», sostiene l'Unione degli atei e agnostici razionalisti,
che parla del «Parlamento più laico da decenni a questa parte». Invero con
esagerato ottimismo perché sui temi laici i grillini non si sono mai esposti.
Di qua e di là del Tevere si
mettano l'anima in pace, perché la verità è questa: non potranno più dettare
l'agenda alla politica, le istanze cattoliche tradizionali, quelle note come valori
non negoziabili, non sono più determinanti, se mai lo sono state, e per la
prima volta questo dato è chiaro e limpido, al di là di ogni possibilità di
fraintendimento. Non saranno determinanti né in questo Parlamento, che avrà
vita brevissima, né in quello che verrà. Lo sono state finché la partitocrazia
chiusa nel palazzo ha ritenuto di aver bisogno dell'appoggio della casta
ecclesiale, di poter mercanteggiare con la Chiesa poltrone e privilegi, e
reciproci favori, con la complicità dell'informazione ufficiale (altra categoria
che deve fare un esame di coscienza approfondito), accondiscendente, che ha
sempre ingigantito l'importanza dell'influenza ecclesiale sul voto, mentendo, e
omertosamente nascondendo i gravi problemi lasciati irrisolti da un Ratzinger
in fuga.
Cala il sipario dunque su Todi,
cade il mito del voto cattolico determinante in ogni schieramento. Cade
l'influenza delle lobby e dei salotti di potere sospesi tra piazza Affari e le
mura leonine, tra S. Egidio, gli ospedali lombardi e piazza Colonna.
Pubblicato ieri qui.
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