Chi era preoccupato che il
dibattito sulla presenza ed efficacia dei cattolici in politica potesse essere
stato chiuso in un cassetto per sempre può stare tranquillo: ci ha pensato il
settimanale Famiglia Cristiana, a riprendere il discorso, con un
tono denso di amarezza, in uno speciale intitolato Dalla diaspora all'assenza.
Il direttore don Antonio
Sciortino, il politologo gesuita don Bartolomeo Sorge, il sociologo Franco
Garelli e il filosofo Dario Antiseri provano a riordinare le idee, dopo la
delusione del doppio appuntamento di Todi, che nulla ha prodotto se non un fiume
di parole e belle intenzioni.
Quello che emerge con forza è
l'indignazione (di Sciortino) per il silenzio dei politici cattolici in
Parlamento, a partire dalla loro mancata difesa di papa Bergoglio, criticato da
parte della destra - quella più sensibile al tema dell'immigrazione - dopo la
sua visita a Lampedusa. In questo caso è comprensibile l'indignazione: c'è chi
spende il suo mandato da parlamentare sempre a rincorrere le gerarchie
ecclesiali, ma solo purché non vada contro certi interessi, come la guerra
all'immigrazione, si vedano le dichiarazioni insolenti di Fabrizio Cicchitto
sull'indipendenza della politica dalla Chiesa, indipendenza che solo in questo
caso è un valore per l'illustre rappresentante del Pdl. Questa schizofrenia è
difficile da digerire per don Sciortino.
Sorge, poi, interpellato sulla
presunta irrilevanza dei cattolici prova a delineare un «modo nuovo di essere
cristiano e fare politica», che «non dev'essere necessariamente il partito, può
essere una minoranza attiva e capace di incidere, di portare avanti il nuovo
[...] Come ad esempio quella di alcuni ministri del passato Governo dei tecnici
di Mario Monti, che sono di estrazione cattolica ma non portano il distintivo.
Ministri che hanno dato un segno ben visibile della dottrina sociale
cattolica». A questo punto ci starebbe bene un "leader laico",
secondo Garelli, preoccupato che la presenza cattolica sia ormai
"impalpabile", mentre Antiseri fa l'elenco dei danni prodotti dalla
scomparsa della Democrazia cristiana: «Calpestate le più elementari necessità
della famiglia, come i nidi e gli asili; lasciate morire una dopo l'altra le
scuole libere; ingoiata tutta una serie di nefandezze, a cominciare dalla più
indecente e illiberale delle leggi elettorali (dove quattro Caligola nominano un
Parlamento e dove ai cittadini vengono di fatto imposti chi li deve
rappresentare); silenzio, scambiato per prudenza, davanti a scandali a
ripetizione; difesa ostinata di vergognosi privilegi; nomina di incompetenti a
posti istituzionali di rilievo; una catena di proposte di leggi ad
personam. e mai che rappresentanti politici di estrazione cattolica abbiano
avuto un sussulto di dignità motivando pubblicamente le loro dimissioni».
Rilanciando così l'idea di un partito cattolico, ché in Parlamento contano i
numeri: «In innumerevoli convegni, vengono continuamente richiamati i nomi di
Don Luigi Sturzo e De Gasperi. Ma ci si dimentica troppo spesso che Sturzo un
Partito lo fece e che De Gasperi ha salvato l'Italia con un Partito
d'ispirazione cristiana».
E' una storia vecchia: quello che
emerge è che non hanno la più pallida idea di cosa fare, cosa proporre, ancora
prima di come farlo. Ma - ed è questo il dettaglio più fastidioso per chi
osserva da fuori quello che succede nel mondo cattolico - dimenticano sempre
che proprio loro, i cattolici, hanno sempre avuto le leve del comando, in
questo paese, e ci vuole coraggio a dire il contrario.
Lamentare ogni giorno
«l'inutilità dei parlamentari che si dichiarano cristiani», i quali su
«famiglia, solidarietà, accoglienza, fine e inizio vita, bioetica», negli
ultimi vent'anni «hanno concluso ben poco» è francamente intollerabile, è un
affronto all'onestà intellettuale di tutti i cittadini. Vediamo cos'è che non
avrebbero concluso: ancora non abbiamo una legge contro l'omofobia (vedremo
venerdì in aula cosa succederà), niente divorzio breve, niente unioni civili,
nulla sul fine vita, l'ora di religione (impartita da insegnanti scelti dalla
Curia ma pagati dallo Stato) resta una sorta di ricatto alle famiglie che non possono
combattere una guerra per esentarne i propri figli; non parliamo nemmeno del
matrimonio gay. In compenso, loro, gli "ininfluenti" cattolici, hanno
posto ogni ostacolo possibile all'aborto, inclusa l'obiezione selvaggia che è
una vergogna in un paese civile; abbiamo ancora una legge sulla procreazione
assistita - la 40 - che solo perché limpidamente incostituzionale è stata fatta
a pezzi dai magistrati; hanno assicurato che il flusso copioso e sempre più
scandaloso di denaro pubblico (esenzione Imu, otto per mille...) continui ad
affluire, e magari aumentare, verso le scuole confessionali, le casse della Cei
e del Vaticano.
Sarà un caso che pochi giorni
prima dell'esame del Ddl sull'omofobia, quattro dei più noti ed attivi
clericali del Pdl si sono subito messi a disposizione chiedendo una moratoria sui diritti civili perché
"divisivi"?
Sorge fa il solito salto mortale
triplo carpiato all'indietro, e pretende di mettere insieme istanze
inconciliabili: «Bisognerebbe trovare un modo nuovo [...] una presenza aperta,
ispirata alla dottrina sociale della Chiesa e alla Costituzione, però con una
forte autonomia laicale e una sicura indipendenza nei confronti della
gerarchia, senza collateralismi nuovi». Cioè tutto e il contrario di tutto,
perché la dottrina sociale della chiesa (che sovente è solo un altro nome con
cui viene indicato il Catechismo cattolico) spesso cozza con la Costituzione, e
non si può avocare per sé l'indipendenza (abusando di un termine, laicità, il
cui significato è storicamente sempre sfuggito alla maggior parte dei
cattolici) dalle gerarchie se proprio alla dottrina che loro propugnano ci si
vuole ispirare. Se la prendono con chi sventola la propria qualità di cattolico
per occupare le poltrone; ma se ne preoccupano solo se succede nei palazzi del
potere: e - fuori dal Palazzo - chi ad esempio fa l'obiettore di coscienza solo
per avanzare di carriera nella sanità pubblica?
Questi richiami e rimproveri ai
"politici cattolici" indicano chiaramente quanto l'intellighenzia
cattolic-chic di questo paese ami attaccare etichette sulla giacca dei
loro - presunti - rappresentanti, e si muova auspicando la materializzazione di
una lobby, una corporazione, che già esiste, piuttosto che propugnare i suoi
valori nel rispetto di quelli altrui. Si parla di grandi ideali, di dottrina
sociale, ma alla fine la sostanza (oltre a una pragmaticissima aspirazione al
puro potere) è sempre quella: la "difesa dei valori non negoziabili",
la quintessenza dell'arroganza e della prepotenza applicata alla politica. La
difesa di un moralismo avulso dalla realtà, e fuori dalla democrazia, laddove
questi "valori", che non sono di tutti, interferiscono pesantemente
nelle libertà di tutti. Si, perché in sottotraccia si rimprovera ai
"sottoposti" della dottrina Cattolica di essere stati piuttosto
scarsi, a loro modo di vedere, in ciò in cui costoro storicamente eccellono: la
limitazione, possibilmente l'annientamento, delle libertà altrui.
Viene da domandarsi: ma che altro
vogliono?
La verità è che i cattolici si
sono arroccati da decenni nel fortino costituito dal Palazzo, perché nella
società non riescono più a convincere, visto che hanno ben poco da proporre
oltre alla arroganza della loro dottrina medievale e dei loro "valori non
negoziabili". Niente di nuovo sotto il sole.
Ma allora se la gloriosa balena
bianca è diventata un "pesciolino" (Sciortino dixit)
l'unica cosa che stupisce è il loro stupore.
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