I media tutti, con pochissime
eccezioni, proseguono nella stucchevole e indecorosa celebrazione mediatica di papa Francesco, qualunque
cosa faccia (sia che si porti da solo la sua valigetta, sia che si presti a un
autoscatto col cellulare) o dica, comprese le ovvietà più evidenti.
L'ultima eroica impresa di
Bergoglio celebrata dai media è la sua risposta a due articoli di fondo di Eugenio Scalfari
pubblicati il mese passato da Repubblica. In un paese normale non
si starebbe tanto a celebrarla: anzitutto perché altri papi si sono già tolti
lo sfizio di esibire un presunto e beffardo lato dialogante coi non credenti,
basti pensare - per fare solo un esempio - al papa emerito Ratzinger
e al suo confronto con un altro famoso ateo devoto, Marcello Pera. Poi, perché
la risposta del papa a Scalfari appare deludente, una bella omelia come quelle
che ogni prete è capace di recitare a macchinetta la domenica dal pulpito.
Ma c'è un aspetto tra le
questioni sfiorate dal monarca e dall'ateo devoto che fa apparire Francesco
come uno appena arrivato da Marte, e desta persino indignazione in chi sogna
l'Italia come uno stato laico e per questo si spende (e subisce) ogni giorno.
Scalfari, nel suo articolo del 7
agosto scorso, in una cosa almeno era stato molto chiaro: «Non c'è mai stato un
papa che non abbia gestito il potere, che non abbia difeso,
rafforzato, amato il potere, non c'è mai stato un papa che abbia sentito
come proprio il pensiero e il comportamento del poverello di Assisi». Questa
affermazione ha delle notevoli implicazioni politiche, in una nazione come
l'Italia, e porta inevitabilmente a chiedersi se la Chiesa di Francesco intende
cambiare rotta. Ed è qui che il papa regnante si produce in una sconfortante
elusione della domanda, proponendo invece la solita fregatura: perché quello
che scrive non risolve la questione di cosa deve fare l'amministratore pubblico
cattolico, di cui si occupa incessantemente la Chiesa, tra la sua fede e la
necessità di amministrare anche per conto di chi non crede.
«È venuto ormai il tempo», scrive
infatti Bergoglio sul confronto tra credenti e non credenti, «di un dialogo
aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo
incontro», perché questo dialogo «non è un accessorio secondario dell'esistenza
del credente: ne è invece un'espressione intima e indispensabile». Segue una
citazione dalla Lumen fidei che Bergoglio fa propria: «La fede
non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il
credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più
che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi
dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende
possibile la testimonianza e il dialogo con tutti».
Ma dov'era Francesco in questi
ultimi decenni di Concordato? Non sa nulla della politica di Wojtyla e
Ratzinger, delle loro martellanti chiamate a rapporto dei politici italiani?
Del loro tirare il guinzaglio ogni volta che il parlamento italiano (non
vaticano, che manco esiste) ha affrontato questioni legate alla libertà di
scelta dei singoli cittadini? Dell'imposizione, non arrogante ma
arrogantissima, dei famigerati valori non negoziabili?
Di proclami e prese d'impegno
Bergoglio ne ha fatte molte per essere sul trono da soli sei mesi, ma è
necessario che esibisca la prova concreta e fattiva della sua serietà. Il
credente non è arrogante? Allora Francesco dia subito un segnale concreto di discontinuità,
si distacchi dalla politica dei suoi predecessori e richiami i politici
cattolici al "rispetto dell'altro", invece che arruolarli
quotidianamente nella guerra santa contro il resto del mondo. Un esempio
concreto e immediato? Dica loro di non opporsi a una legge seria contro l'omofobia, facendola finita con la scusa indecente della
libertà di espressione.
La smetta di rifornire di alibi
e pretesti chi per entrare nei palazzi di Roma ha giurato sulla
Costituzione ma governa con la Bibbia (e l'Osservatore romano) sulla
scrivania: scriva non una lettera a un giornale, ma una missiva chiara ed
inequivocabile ai politici cattolici per spronarli a dare - finalmente - a
Cesare quel che è di Cesare e a dio quel che è di dio. Spieghi loro che «il
compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà,
nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana» che gli tocca non vuol
dire affatto imporre un'etica per legge.
La verità è che il dialogo dei
cattolici è da sempre una trappola vera e propria, una dilazione permanente per
imbrigliare quanta più gente possibile in una palude melmosa di elucubrazioni
mentali e speculazioni filosofiche totalmente inutili, mentre si mantiene lo status
quo in cui i non credenti devono lottare per avere gli stessi diritti
dei cittadini cattolici osservanti.
Bisogna opporsi con tutte le
forze a questo trucco e smascherarlo: caro Francesco, prima esibisca
il rispetto vero, che vuol dire lasciare libera la politica di dare quello che
spetta (diritti e libertà individuali) ai non credenti e occuparsi di
spiritualità; dopo - e solo dopo - può venire il dialogo sui
massimi sistemi e sul sesso degli angeli. Con chi vuole dialogare,
s'intende.
Perché l'unico modo per fare
davvero "un pezzo di strada insieme" è accettare che nel mondo ci
sono anche i non credenti; e non quelli che non credono perché non conoscono,
ma quelli che non credono perché hanno scelto consapevolmente e liberamente di
non credere. Dunque, caro Francesco, se vuole essere credibile ci dia una
prova.
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