domenica 30 marzo 2014

Educare alla diversità? Bagnasco non vuole


Il cardinal Bagnasco sta sempre all'erta, pronto a cogliere ogni piccola minaccia ai privilegi ecclesial-cattolici che gli è stato ordinato di difendere. In questo caso si tratta del predominio ideologico sulla scuola. E si capisce, l'educazione - quindi il sistema scolastico - è troppo importante per mollare la presa e lasciarla ai "nemici".

E' accaduto, come saprà chi segue queste vicende, che i volumetti informativi Educare alla diversità a scuola, commissionati dall'Unar(Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) all'istituto A. T. Beck e destinati alla diffusione nelle scuole pubbliche (dalla primaria alla secondaria di secondo grado) attraverso gli insegnanti che ne vorranno fare uso, sono stati oggetto della peggiore propaganda cattolica, quella cui siamo abituati da sempre.

Qualcuno ha messo in relazione una recente prolusione di Bagnasco con l'uscita di quegli opuscoli: l'ex ordinario militare è ricorso al consueto terrorismo semantico, paventando sfaceli per il mondo intero come se quei volumetti - e altre meritorie iniziative simili nel recente passato - fossero davvero giunti sulle cattedre. Cosa che non è ancora avvenuta e che grazie a questo attacco non avverrà mai. A latere, Bagnasco ha battuto cassa come sempre, chiedendo ancora soldi per le scuole cattoliche.

E dire che l'iniziativa era volta semplicemente ad informare gli studenti dell'esistenza di forme familiari diverse da quelle tradizionali, con l'obiettivo non secondario di frenare il bullismo omofobico nella scuola e di conseguenza nella società. E senza ricorrere a una fantomatica propaganda ideologica (da che pulpito: ecco il metodo cattolico del ribaltamento della realtà), come ha accusato Bagnasco, che vorrebbe le nuove generazioni custodite al sicuro sotto una campana di vetro.

Il tutto nel silenzio complice del finto "rivoluzionario" Bergoglio. «Chi sono io per giudicare?», ha detto il papa tempo fa a proposito delle persone omosessuali. «Non sei proprio nessuno, infatti», avrebbero dovuto rispondergli i giornalisti, se non fossero stati così presi dalla deferenza. Il problema non è il "giudizio" del papa, il problema è la violenza quotidiana che la sua Chiesa compie a danno dei non omologati.

Sarebbe oggettivamente molto facile ribattere punto su punto alla logorroica prolusione di Bagnasco, mettendo a nudo l'ipocrisia di cui è infarcita, ma sarebbe esercizio inutile e sicura perdita di tempo. Il problema sta altrove, ed è è la malattia che colpisce da sempre la società italiana: l'indifferenza, l'incapacità di cogliere la natura e la gravità di quello che ci accade e l'attitudine storica a chinare il capo di fronte a ogni potere.

In Spagna, per fare un esempio, masse di cittadini sono sempre pronte a scendere in piazza per difendere quel po' di diritti (sacrosanti) che hanno ottenuto nel corso degli anni, a cominciare dalla recente mobilitazione contro il tentativo governativo di restaurazione anti-abortista. Abbiamo visto masse imponenti persino in Turchia e in alcuni paesi arabi, dove pure uno penserebbe che nessuno sappia cosa vuol dire laicità. Ovunque, tranne che in Italia, paese popolato da gente notoriamente indolente, fin troppo. Qui il grosso dell'opinione pubblica sembra anestetizzata. Ci vorrebbe qualcosa o qualcuno capace di risvegliare la bella addormentata: si deve forse arrivare alla conversione forzata, a un indottrinamento opprimente di tipo orwelliano, al matrimonio coatto e alla procreazione obbligatoria, perché questo popolo si svegli, senza farsi impressionare dalla stolida accusa di laicismo?

Già il termine "laicismo" è una storpiatura. In un quadro paradossale come quello italiano, è la declinazione dispregiativa di una realtà che dovrebbe essere neutra oltre che acquisita: la laicità c'è o non c'è, non ha senso accusare chicchessia di volerne troppa o di perseguire quella "sbagliata". Ma siamo in Italia, patria del paradosso, e così i porporati hanno sempre pronta l'accusa di "laicismo", e appena ritengono che serva la sfoderano come una sciabola, agitandola contro tutti quelli che minacciano la loro posizione di privilegio in spregio al principio di laicità ben chiarito nella Costituzione. Fino a chiudere il cerchio e dare un senso al vocabolo: perché questo non è un paese laico, quindi la laicità va perseguita e, ove conquistata, difesa giorno per giorno. Noi, come questa vicenda insegna, dobbiamo partire dalla sua conquista. 

Pubblicato ieri qui.



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