martedì 5 agosto 2014

Scacco matto


Toccava a lui. Avevo sulla mia sinistra un pedone e poi un cavallo, ed io ero sulla linea d'attacco del Re, due case oltre. Il Re, chiuso nell'angolo, era alla mia portata. Se muoveva in verticale sarebbe stato alla portata del cavallo, se muoveva in orizzontale avrebbe subìto l'attacco del pedone; se muoveva in diagonale, sarebbe toccato a me. Scacco matto!

Ero stato piuttosto bravo, a quanto pare, ciò che dovevo fare era chiaro e semplice. 
A dire il vero non ricordavo molto altro. Per dire, non ricordavo quasi nulla di quello che era accaduto fino a quel momento, né quanto tempo era passato dall'inizio della partita.

Non riuscivo a mettere a fuoco i volti della mia famiglia e dei miei amici, quando avevano scelto me per giocare, avevo rimosso le parole che avevano pronunziato per sottolineare l'importanza della partita; solo vagamente, si affacciavano sulla soglia della coscienza le lacrime, la tensione, la paura che li dominava mentre mi accompagnavano alla porta del Palazzo, di accecante avorio contro il nero cielo profondo. In un momento solenne e terribile al tempo stesso.

Quanto tempo era passato? Credo un'eternità. Ero un giovane alfiere, un ragazzo con tante speranze ma le spalle troppo strette per reggere il peso di quel gioco. Dal cui esito dipendevano le sorti di un mondo intero: una posta altissima. Tuttavia non avevo scelta, dovevo giocare.
Ancora meno ricordo le fasi del gioco, so solo che quando cominciammo ero frastornato dall'imponenza del luogo, dal fasto della corte, dalla fierezza dei soldati che sorvegliavano ogni mia mossa, ogni mio respiro. 
Mi raccomando Agnòs, qualcuno mi disse, la nostra vita è nelle tue mani. E anche la tua: se fallirai per tutti noi sarà finita per sempre, non ci saranno rivincite. 
Si, alla fine qualcosa comincio a ricordarla.

Ora, restavamo solo io e il Re, nella sua lunga tunica bianca ancora candida, la tiara imperlata  e scintillante, e lo scettro dorato, lungo e sottile, contro l'infinita volta oscura del cielo stellato. Ad affacciarvi oltre la scacchiera, avreste visto il baratro infinito pieno di stelle ovunque lo sguardo potesse arrivare.  Anche sotto il grande pavimento di ebano e avorio, avreste scorto solo un'infinità di stelle, e il vortice eterno di un cuore galattico. 

La scacchiera volteggiava nel vuoto senza fine, illuminata di luce bianca e gelida da un astro lontano, posto allo zenit, una luce che non proiettava ombre. Questo è tutto ciò che restava del mondo, alla fine della partita: le montagne, i laghi, le terre lussureggianti di boschi e coltivazioni, i fiumi e i mari, gli animali; le città brulicanti di uomini, i castelli solitari; lo stesso Palazzo del Re bianco. Tutto questo, un mondo intero, era prima cambiato e poi sbiadito, si era dissolto pezzo per pezzo, man mano che la partita procedeva; in ultimo, si aprirono volando nel nulla, come un gigantesco sipario, le pareti della immensa sala del trono, col pavimento-scacchiera. Nulla del mondo conosciuto esisteva più, se non la grande scacchiera volteggiante nel cosmo infinito, io ed il terribile Re bianco, autore di tanta ingiustizia, famoso per la sua ferocia, che dominava ovunque fin dalla notte dei tempi.
Mi avevano messo in guardia, mi pare, dalla sua astuzia e scaltrezza, ma a vederlo lì all'angolo,  solo, sgominata la sua guardia, non sembrava più tanto terribile. Cosa poteva accadere? Dovevo solo muovere, e millenni di ingiustizie sarebbero giunte alla fine, il regno del terrore sconfitto, la libertà, la dignità degli uomini tornate a fiorire.

Poi accadde: il Re parlò. 
- Dimmi, Agnòs, prima che tu mi uccida: cosa faresti se le persone che ami e tutto ciò cui tieni fossero sotto una minaccia mortale? 
- Maestà,  risposi, farei qualunque cosa per difenderli.
- Saresti disposto anche ad uccidere?
Dovetti pensarci un minuto, prima di rispondere. Mi tornavano alla memoria le parole del mio maestro, un'eternità di tempo addietro: «Al cospetto del ladro recupera il maltolto, al cospetto del mentitore ristabilisci la verità, al cospetto dell'assassino difendi la vita, al cospetto del tiranno riscatta il mondo». La domanda del Re sembrava proprio una trappola, dovevo aspettarmi un ultimo tentativo di imbrogliarmi per salvarsi, il sovrano era famoso oltre che per la ferocia anche per la sua astuzia; ma io sapevo bene come rispondere. Non ci sarei cascato.
Tuttavia non ebbi il tempo di rispondere, perché il Re parlò di nuovo, come se leggesse i miei pensieri e potesse così anticipare la mia risposta.
- Sai, Agnòs, ho affrontato questo dilemma nel mio cuore per tutta la vita. Farsi carico di governare il mondo è gravoso, impone scelte difficili ed è impossibile sottrarsi alla responsabilità delle scelte. Anche io ho dovuto decidere tra il bene dei miei cari e di tutto ciò in cui ho creduto, e il destino del resto del mondo. Le idee, Agnòs, sono materia viva, non sono astratte. Io ho difeso le mie idee come tu hai sempre fatto con le tue; e io certo non ti biasimo per questo. Ciascuno di noi due al posto dell'altro si sarebbe comportato allo stesso modo, nel tuo cuore lo sai bene: puoi dunque biasimarmi per quello che ho fatto nella mia vita?
- Maestà, le sue decisioni sono state cariche di conseguenze nefaste per il mondo intero...
- A dispetto di quello che ci sembrava da giovani, Agnòs, il mondo non è di un solo colore, e non è un luogo felice, ha sempre bisogno di salvezza e redenzione. Impone delle scelte, e le scelte sono sempre dolorose per qualcuno, è inevitabile in un mondo così complesso in cui ognuno aspira a libertà e giustizia secondo la propria indole. Chi porta questa corona sulla testa e questo scettro nella mano destra, ha sulla testa e nel pugno anche questa responsabilità, che certo produce conseguenze per alcuni, ma anche un marchio incancellabile su di lui. Ho pensato - come avresti fatto anche tu - al bene di ciò che avevo di più caro, il resto è stato conseguenza. Ma la mia parte di bene l'ho prodotta, perché nulla è solo bianco o nero. Ho protetto ciò che avevo nel cuore: ho fatto il mio dovere.
Non sapevo esattamente cosa rispondere. Dentro di me, in fondo, sapevo che aveva ragione: in un lampo, vidi davanti agli occhi il mio villaggio, la mia famiglia, il volto di colei che amo. So cosa avrei fatto, con quella corona in testa, e potevo anche immaginare le conseguenze delle mie scelte su chi non mi è stato amico. Ma sapevo anche cosa dovevo fare in quel frangente, perché anche in questo, lui si sarebbe comportato come me. Tuttavia cominciai ad essere inquieto, perché non avevo mai considerato di poter avere qualcosa in comune con il Re del terrore.
- Ma adesso hai vinto tu - concluse il Re distogliendomi dai miei pensieri - e ora devi fare la tua scelta. Sono pronto ad accettarne le conseguenze.  Un'ultima cosa ti chiedo, però, prima che tu muova: apri il tuo cuore, e ammetti che al mio posto avresti fatto le stesse scelte. Un atto di onestà che resterà tra me e te, per sempre, e ti renderà migliore, quando prenderai il mio posto.
Faticai a comprendere quelle parole: io al suo posto?
- Si, Agnòs, tu sei predestinato: governerai il mondo quando io sarò caduto. Così sta scritto: «Colui che ridurrà il Re all'angolo, prenderà il suo posto», e nel dire questo, si tolse la pesante corona dalla testa e la porse verso di me. 

L'antico Libro! Quello che conteneva ogni ordine di verità e profezia. Scritto - si diceva - prima della creazione, infallibile ed eterno. Sul quale il Re bianco aveva fondato il suo potere e il suo dominio attraverso le ere. Era vero, mai nessuno prima d'ora aveva costretto il Re all'angolo, ogni libro di storia ne avrebbe parlato, altrimenti, egli stesso non sarebbe esistito, non avrebbe imperversato e generato tanta sofferenza, non avrebbe sfidato beffardamente il mondo in quella partita, e io non lo avrei avuto di fronte in quel momento. Dunque, egli doveva dire il vero.

Tuttavia non mi sentivo ancora tranquillo. Ma ero esausto, e - pensai - perfino il Re della crudeltà in punto di morte non può mentire. Se invece stesse mentendo, dovrei solo far finta di assecondarlo; non sembra difficile. 

Un atto di accondiscendenza compassionevole avrebbe ritardato l'ineluttabile solo di pochi secondi, e io avrei regnato senza avere sul cuore il peso di averglielo negato. Il nuovo regno, la nuova era della luce, sarebbe iniziata sotto il segno della compassione.
Dunque, presi la corona, e la posai lentamente sulla mia testa.

Quello che accadde dopo, fu questione di pochi istanti. Dapprima mi sentii perdere l'equilibrio per un istante, come quando ti alzi dal tavolo dopo un'abbondante bevuta, e mi trovai nella casella ad angolo, al posto del Re; con la sua corona in testa. Fu il Re stesso a spingermi nel vuoto con una mossa rapida e decisa: ebbi appena il tempo di vedere il suo sorriso trionfante, solo il tempo di realizzare che ero appena caduto nella sua trappola, che il piano, ordito sicuramente da molto tempo, era proprio quello. Il Re ero io, la corona era sul mio capo, la profezia del libro si era realizzata. Poi sentii un rumore lancinante, come lo stridio possente di una bestia gigantesca, e di milioni di cristalli che esplodevano in frantumi, provenire da ogni parte.

L'urlo di trionfo del nuovo Re riempiva il cosmo intero. Solo ora che sono a tale distanza da non riuscire più a udirlo né a scorgere la scacchiera, nell'antico Palazzo d'avorio risorgente, solo ora entrano nelle mie orecchie - lontane e in dissolvenza - le voci terrorizzate e deluse della mia gente, il pianto disperato della mia donna, il suono cupo di un mondo intero che sprofonda in un nuovo regno di terrore. 
Volteggio nel vuoto in caduta veloce, il vortice caldissimo si avvicina alle mie spalle. Tra non molto sarò nell'orizzonte degli eventi e di me non resterà nulla, nemmeno il ricordo del mio breve passaggio nel mondo. 

In fondo, io ho solo voluto esercitare la compassione. Adesso, con onestà, ditemi: al posto mio, non vi sareste comportati allo stesso modo?

Già pubblicato qui.

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