sabato 15 novembre 2014

Sono malato, ma non definito



Sono malato.

Da qualche anno ho una crisi di rigetto verso etichette, definizioni, categorie, scomparti e paratie stagne, steccati, classificazioni, ideologie. Mi sembrano tutte come la cloaca in cui i protagonisti di Star Wars vengono gettati, coi muri che si chiudono tentando di schiacciarli, mentre bestie e serpentoni vari cercano di strangolarli.

Non mi limito più a ricordare con orrore, in un attacco di claustrofobia socio-antropologica retroattiva, i tempi in cui ambivo a far parte di gruppi e organizzazioni, grandi o piccole che fossero, per soddisfare una voglia di appartenenza: la parrocchia, il fan club dei Simple Minds, il partito, la palestra, il sindacato. D'altra parte ero immaturo; o completamente pazzo.

No, ora rifuggo con risolutezza ogni occasione che mi metta nelle condizioni di essere definito da qualcun altro; fino ad un eccesso (perché so di essere malato) di spirito di contraddizione auto-contraddittorio, come stato mentale. 

Voi direte: che ti frega di quello che pensano gli altri? Nulla, ma non è questo il punto.

È che mi sento preda di una sorta di agorafobia spirituale, e (anti)ideologica, che ha prodotto in me una forte allergia verso una serie di oggetti, stati e situazioni, anche temporanee, che va dal numeretto per la coda all'ufficio postale fino alla tessera di socio di "associazione culturale" (che ti fanno fare per forza se vuoi vedere anche una sola volta uno spettacolino a teatro), su su, fino all'avversione per le grandi ideologie e religioni, gabbie infernali dove uomini vuoti diventano mostri.

Non ho più tessere, di alcun genere: quest'anno ho omesso di rinnovare l'adesione alle ultime due associazioni (la cui opera è peraltro meritoria, lo ammetto) di cui facevo parte; mi restano solo il codice fiscale, la tessera sconti della libreria e del supermercato. Ma pure quelle cominciano a diventare pesanti, nel portafogli.

Detesto quando si cerca di definire qualunque cosa, dal genere musicale nei negozi di dischi (oltretutto, come si fa a mettere gli Incubus nel reparto "hard and heavy" e i Kraftwerk tra le "nuove tendenze"?) alla cucina, fino alle persone per la loro condizione, le loro scelte e le loro idee.

E mi prudono le mani quando qualcuno cerca di appiccicarmi addosso un'etichetta, dopo avermi sentito pronunciare appena due vocaboli e la prima sillaba del terzo.

Ma nel fondo, forse, c'è lo sconforto per la consapevolezza dell'impossibilità di essere totalmente liberi, qualunque cosa voglia dire, in un mondo che assomiglia a una gigantesca ruota per criceti.

Che malattia è?

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